L’ANGELUS

Jean-François Millet (1814-1875)
L’Angelus
Presso Musée d’Orsay

Oggi ho dato l’ultimo tocco al mio quadro. E’ stato difficile per me descrivere sulla tela l’emozione provata quel giorno. Per ogni pennellata non ho fatto altro che chiedermi: quali sono i colori dell’emozione? quali i colori dell’amore per quello che fai? quali i colori di quel sentirti legato a tutto il resto? Guardo il quadro finito e non posso fare a meno di provare ancora la stessa intensità di quell’attimo di assoluto rapimento dell’animo.
A Constant, da poco arrivato da Parigi, avevo promesso una lunga passeggiata in campagna per fargli ammirare il tramonto fuori Barbizon.
Per me era diventata una abitudine quasi quotidiana recarmi passo passo fuori borgo. I colori dell’ora mi riportavano indietro, a quando ancora ragazzo aiutavo i miei genitori nei lavori agricoli in Normandia. Camminare sulla terra bruna, affondare la zappa tra le zolle, sentire l’odore delle erbe imperlate di rugiada mi erano entrati nell’anima, ed ancora oggi provo una grande venerazione per quei riti campestri che ci avevano consentito la sopravvivenza.
Fortunatamente Constant arrivò puntuale all’appuntamento. Chiacchierando del più e del meno uscimmo dal borgo accompagnati dal vocio allegro di bambini che giocavano nella piazzetta. Il viottolo che portava fuori porta era stretto e sembrava quasi proteggere il nostro parlare interrotto solo da brevi silenzi.
Lui sapeva della mia passione per la campagna e condivideva con me la bellezza della serenità che i paesaggi agresti infondono. Nei suoi occhi leggevo la curiosità per quello che gli avevo promesso di mostrargli.
All’ improvviso il viottolo sfociò su uno spazio ampio che si stendeva a perdita d’occhio. Constant si arrestò per lo stupore: ci trovammo davanti uno spettacolare tramonto dalle mille sfumature di luce.
Poco più in là da noi notammo due figure, un uomo e una donna in piedi, uno di fronte all’altro, assorti in una preghiera. Giungevano infatti in quel momento i rintocchi del campanile del borgo. Era l’ora dell’Ave. Anche gli uccellini che con il loro cinguettio ci avevano fatto compagnia lungo la passeggiata tacquero. Ci fermammo a osservare quella coppia, un uomo e una donna che, interrotto il lavoro, nella preghiera sembravano unirsi al sole che con le sue calde pennellate d’oro creava una trama di forte energia, alla terra che disegnava onde brune che afferravano l’ultimo tepore del giorno, al cielo che pareva abbracciare tutto e promettere gioie future. In quel momento mi sopravvenne un ricordo, di quando bambino mio nonno nell’ora dell’Angelus ci chiamava tutti attorno a sè e ci faceva fare il segno della croce. Ora lì, davanti a quell’uomo e a quella donna, quel gesto mi sembrava ancora più pieno di sacralità. La sacralità di essere uomo e donna, diversi ma uniti nella fatica del lavoro, uniti nel portare avanti un progetto d’amore, uniti sotto l’occhio vigile del cielo, uniti nel ricordo di un annuncio che divenne promessa di nuova vita.
9 settembre 2021
Rita Crimì
L’Angelus – Rita Crimi