Testi poesie

Inizio
Io sono un uccello

Dal bianco ventre gentile
Qualcuno mi ha tagliato la gola
Per riderci sopra,
Non so.
Io ero un Albatros grande
E volteggiavo sui mari.
Qualcuno ha fermato il mio viaggio
Senza nessuna carità di suono.
Ma anche distesa per terra
Io canto per te
La mia canzone d’amore.

PRESENTAZIONE

Il recital della Banca del Tempo, dedicato alla Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, propone una selezione di letture sceniche con accompagnamento musicale in brevi perfomances, nelle quali vengono rappresentati, con gestualità e simbolismo, i rapporti tra l’uomo violento e la donna vittima.
Il lavoro vuole sensibilizzare sulla globalità del tema, proponendo brani che hanno protagoniste vittime di diversi paesi del mondo, per arrivare all’auspicio di un amore sano, felice e possibile con l’interpretazione finale.
Abbiamo voluto dare corpo e parola alla forza delle donne.  Gli ultimi anni sono stati funestati da una pandemia senza precedenti che ancora imperversa e che ha cambiato le nostre abitudini.  
Il lock down ha fatto calare una cappa di silenzio attorno a noi.  
Ed in silenzio le donne hanno continuato, schiave dei loro persecutori, ad essere violentate, fisicamente e psichicamente.
I riflettori si sono spenti proprio quando più c’era bisogno di far luce.
Noi riaccendiamo le luci.

Cantico dei cantici, Bibbia
Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella!

Gli occhi tuoi sono colombe, dietro il tuo velo.
Le tue chiome sono come un gregge di capre, che scendono dal monte Gàlaad.
I tuoi denti come un gregge di pecore tosate, che risalgono dal bagno;
tutte hanno gemelli, nessuna di loro è senza figli.
Come nastro di porpora le tue labbra, la tua bocca è piena di fascino; come spicchio di melagrana è la tua tempia dietro il tuo velo.
Tutta bella sei tu, amata mia, e in te non vi è difetto.

Urlare
Non ho voglia di aprire la bocca
di che cosa devo parlare?
che voglia o no, sono un’emarginata
come posso parlare del miele se porto il veleno in gola?
cosa devo piangere, cosa ridere,
cosa morire, cosa vivere?
io, in un angolo della prigione
lutto e rimpianto
io, nata invano con tutto l’amore in bocca.
Lo so, mio cuore, c’è stata la primavera e tempi di gioia
con le ali spezzate non posso volare
da tempo sto in silenzio, ma le canzoni non ho dimenticato
anche se il cuore non può che parlare del lutto
nella speranza di spezzare la gabbia, un giorno
libera da umiliazioni ed ebbra di canti
non sono il fragile pioppo che trema nell’aria
sono una figlia afgana, con il diritto di urlare.
Nadia Anjuman (Herat, Afghanistan, 1980 – Herat, 2005)

A tutte le donne
Alda Merini

Io canto le donne prevaricate dai bruti
la loro sana bellezza, la loro “non follia”
il canto di Giulia io canto riversa su un letto
la cantilena dei salmi, delle anime “mangiate”
il canto di Giulia aperto portava anime pesanti
la folgore di un codice umano disapprovato da Dio.
Canto quei pugni orrendi dati sui bianchi cristalli
il livido delle cosce, pugni in età adolescente
la pudicizia del grembo nudato per bramosia,
Canto la stalla ignuda entro cui è nato il “delitto”
la sfera di cristallo per una bocca “magata”.
Canto il seno di Bianca ormai reso vizzo dall’uomo
canto le sue gambe esigue divaricate sul letto
simile ad un corpo d’uomo era il suo corpo salino
ma gravido d’amore come in qualsiasi donna.
Canto Vita Bello che veniva aggredita dai bruti
buttata su un letticciolo, battuta con ferri pesanti
e tempeste d’insulti, io canto la sua non stagione
di donna vissuta all’ombra di questo grande sinistro
la sua patita misura, il caldo del suo grembo schiuso
canto la sua deflorazione su un letto di psichiatra,
canto il giovane imberbe che mi voleva salvare.
Canto i pungoli rostri di quegli spettrali infermieri
dove la mano dell’uomo fatta villosa e canina
sfiorava impunita le gote di delicate fanciulle
e le velate grazie toccate da mani villane.
Canto l’assurda violenza dell’ospedale del mare
dove la psichiatria giaceva in ceppi battuti
di tribunali di sogno, di tribunali sospetti.
Canto il sinistro ordine che ci imbrigliava la lingua
e un faro di marina che non conduceva al porto.
Canto il letto aderente che aveva lenzuola di garza
e il simbolo-dottore perennemente offeso
e il naso camuso e violento degli infermieri bastardi.
Canto la malagrazia del vento traverso una sbarra
canto la mia dimensione di donna strappata al suo unico amore
che impazzisce su un letto di verde fogliame di ortiche canto
la soluzione del tutto traverso un’unica strada

io canto il miserere di una straziante avventura
dove la mano scudiscio cercava gli inguini dolci.
Io canto l’impudicizia di quegli uomini rotti
alla lussuria del vento che violentava le donne.
Io canto i mille coltelli sul grembo di Vita Bello
calati da oscuri tendoni alla mercé di Caino
e canto il mio dolore d’esser fuggita al dolore
per la menzogna di vita per via della poesia.

ELOGIO ALLA MORTE
Alda Merini

Se la morte fosse un vivere quieto,
un bel lasciarsi andare,
un’acqua purissima e delicata
o deliberazione di un ventre,
io mi sarei già uccisa.
Ma poiché la morte è muraglia,
dolore, ostinazione violenta,
io magicamente resisto.
Che tu mi copra di insulti,
di pedate, di baci, di abbandoni,
che tu mi lasci e poi ritorni senza un perché
o senza variare di senso
nel largo delle mie ginocchia,
a me non importa perché tu mi fai vivere,
perché mi ripari da quel gorgo
di inaudita dolcezza,
da quel miele tumefatto e impreciso
che è la morte di ogni poeta.

FRASI PER IL TELO ROSSO 

Antonio – Quanto più la donna cerca di affermarsi come uguale in dignità, valori e diritti all’uomo, tanto più l’uomo reagisce in modo violento.
Gli uomini hanno paura che le donne ridano di loro. Le donne hanno paura che gli uomini le uccidano.
Marcella – Nessuno è di fronte alle donne più arrogante, aggressivo e sdegnoso di un uomo poco sicuro della propria virilità.
Ogni donna merita un uomo che le rovini il rossetto non il mascara.
Antonio – Chi è violento con le parole è già un assassino: le parole sono le prime armi sempre a disposizione per ferire e negare la vita di un altro.
Marcella – Il mostro non dorme sotto il letto, il mostro può dormire accanto a te.
Non serve fare pace con una carezza, se poi devi diventare di nuovo un giocattolo rotto.
Anche se tu mi picchierai e cercherai di opprimermi, non farà alcuna differenza, io resterò libera, non sarò sottomessa.

***
Con lo schioppo in spalle
Mi hai accolta
Scarruffato e coperto di stracci
Questo non sei tu
Si era deciso
Che un uomo su un cavallo rosso…
Tu invece mi hai messo in testa
Una corona di boccioli di papavero
Fiori rossi?
E farfalle mezze morte
Sono cadute a terra
Lasciami andare
Mi fai paura
Hai nascoste nelle tasche mine
Che uccidono la gente
Hai buttato il tuo cuore in una buca
I tuoi baci hanno la tua voce
Che mi arriva stanca e roca:
Vieni, andiamo a casa.
Se mi baci
Le tue mine saranno disinnescate
I tuoi fucili
I tuoi papaveri
Il tuo bacio
Diverranno bianche colombe
Con un delicato bocciolo nel loro becco.
Mahbubeh Ebrahimi (poetessa afghana)

POESIA SULLO STUPRO A MISSOULA


Non c’è differenza tra l’essere stuprata e scaraventata giù da una rampa di scale tranne che le ferite sanguinano anche dentro.

Non c’è differenza tra l’essere stuprata ed essere investita da un camion tranne che dopo gli uomini ti chiedono se ti è piaciuto.
Non c’è differenza tra l’essere stuprata e perdere una mano in una falciatrice se non che i dottori non vogliono essere coinvolti, la polizia sfoggia un ghigno d’intesa e nei piccoli centri diventi una puttana patentata.
Non c’è differenza tra l’essere stuprata ed essere morsa da un serpente a sonagli se non che la gente domanda se la tua gonna era corta e perché tu comunque eri fuori.
Non c’è differenza tra l’essere stuprata e andare a sbattere dritta contro il parabrezza tranne il fatto che dopo tu non hai paura delle auto ma di metà del genere umano.
La paura dello stupro è un vento freddo che soffia ininterrotto sulla schiena incurvata di una donna.
Mai girare da sola in una strada sabbiosa In mezzo a una pineta; mai salire su un sentiero che attraversa una montagna brulla senza quell’alluminio nella bocca vedendo un uomo arrampicarmisi vicino.
Mai aprire la porta a chi bussa senza un rasoio che escoria appena la gola.
La paura del lato in ombra delle siepi, del sedile posteriore dell’auto, della casa vuota che fa tintinnare le chiavi come un avvertimento di serpente.
La paura dell’uomo che sorride con un coltello nella tasca.
La paura dell’uomo contegnoso nel cui pugno c’è astio sottochiave.

La Terra Santa
Alda Merini

Io sono certa che nulla più soffocherà la mia rima,
il silenzio l’ho tenuto chiuso per anni nella gola
come una trappola da sacrificio,
è quindi venuto il momento di cantare
una esequie al passato.

MONOLOGO DI UNA DONNA DAGLI OCCHI NERI

 Era un uomo d’oro, mi trattava bene, era romantico, un amante, un uomo è un confidente, riuscivamo a parlare di tutto.
Il primo occhio nero me lo sono meritata perché ero andata a comprare un vestito senza di lui. Dice che se devo provare un vestito, nel camerino intende, deve esserci anche lui. “Non sai quanti pervertiti ci sono in giro!”
Dopo abbiamo fatto l’amore, mi faceva male l’occhio, ma abbiamo fatto l’amore.
Poi per un anno non è successo nulla.
Il 15 Maggio me lo ricordo perché era il compleanno di mia sorella, era stata lì quel giorno, lui è tornato, barcollava un po’. Mi ero attardata non era pronta la cena, ma non era mai successo. Farfuglia qualcosa sul divano e il rumore dei piatti copre la sua voce. Così chiedo se può ripetere. Mi risveglio con uno schiaffo d’acqua, una dolorosa fitta invade il braccio. Un osso, vedo un osso spuntare. Il sangue. Com’è successo chiede il medico dal camice bianco. Lui ancora un po’ confuso non sa rispondere. Sono caduta dalle scale, rispondo, non so perché, ma ho detto così.
La sera a letto rannicchiato accanto a me, mi confessa di essere stato licenziato. Me lo dice come un bambino confessa una marachella alla madre. E’ furioso per quello che mi ha fatto, ma mi ringrazia per aver inventato la caduta dalle scale.
Poi per un anno non è successo nulla.
Avevo voglia di fare qualcosa, ero stanca di essere relegata in casa e da qualche giorno avevo iniziato a cercarmi un lavoro. In qualche modo sapevo che questo a lui non sarebbe piaciuto, ma il solo fatto di cercarlo mi faceva sentire bene. Ho fatto l’errore di lasciare il giornale in sala, avevo cerchiato un annuncio con un pennarello blu. Cercavano una commessa in un negozio di cosmetici, pensavo potesse andare bene, sarebbero entrate solo donne.
Stavo tritando una cipolla, a lui piace il soffritto fatto con la cipolla sminuzzata. Mi ha tirato il giornale addosso e con una mano mi ha stretto le guance qui. Ha detto una cosa tipo “Sui giornali ci cerchi pure un altro uomo poi?” Non ho capito e ho risposto che volevo rendermi utile, guadagnare qualcosa … uno schiaffo, una spinta “Tu non guadagni niente!” Sbatto contro il bancone, mi viene in mente l’osso fuori dalla carne. C’è ancora la cicatrice. Il coltello cade accanto a me, odora di cipolla. Sono confusa, lui si avvicina, tutto quello che è rimasto è l’odore di cipolla sulla punta del coltello proprio sotto il mio naso. E le lacrime che non sapevo se fosse la cipolla o la paura. E le sue parole “Tu, tu rimani a casa, hai capito?”
E’ uscito. La sera è rientrato preceduto da un mazzo di rose. Mi ha guardata ancora impaurita, sudata e sporca. Come un padre premuroso con sua figlia mi ha portato in bagno in braccio. Mi ha lavata delicatamente, mi ha massaggiato la schiena, mi ha asciugata, mi ha vestita. Ha baciato la cicatrice sul braccio. Abbiamo fatto l’amore, ma io sentivo ancora l’odore di cipolla.
Quella notte mi ha messo incinta, la notizia lo ha reso felice tanto che entrambi abbiamo dimenticato quel coltello e siamo usciti a cena per festeggiare. Stavo per bere un goccio di vino con il quale avevamo appena brindato. Prima che appoggiassi il bicchiere alle labbra mi afferra la mano con violenza. Tutto torna “Aspetti nostro figlio”
Da quel giorno, per una sorta di premure, mi ha vietato di fare parecchie cose stirare, pulire, mantenere una casa dignitosa. L’appartamento era diventato un disastro, c’era un odore di stantio, chiuso, sporco. Decisi che era ora di smettere. Ho messo a posto tutto. Pulito e profumato. Ero felice. Ero .. Ero … Ero tutta blu. Un paio di pugni in testa, strattoni, uno sputo, urla , minacce.  Uno schiaffo. Sono tutta blu. Lo zigomo è caduto. Si è rotto lo zigomo. E’ caduta la guancia. Sono tutta blu con due occhi profondi e neri. Le mani rotte, le gambe spaccate.
Il giorno dopo mi sono svegliata non potevo neanche piegare le mani per fare il caffè. Le aveva chiuse nel cassetto delle posate con una fermezza. Credo le avesse spaccate. Non potevo guidare, non potevo fare niente e quindi mi ha accompagnato dal medico.
Al Pronto Soccorso mi hanno dato cinque giorni, ho fatto pena al medico. Avevo una lesione al nervo infraorbitario e dovevo essere operata. Mi è caduta la guancia. Sono guarita, mentre si rimarginavano le ferite aumentavo di peso. Il blu scompariva dal mio volto. Il mio ventre si allargava. Il nero dei miei occhi svaniva. La mia pancia cresceva, ai suoi occhi ero sformata.
Non mi guardava più con la voglia di amarmi. Gli facevo schifo e facevo schifo anche a me. Mi dice che sono grassa, che devo smettere di mangiare, che lo schiaccio quel bamino col mio peso. E inizia col pugno in testa, poi lo schiaffo, poi le mani intorno alla gola. Manca il respiro.
Io penso di avergli dato qualche calcio. Ma perché? Dolorante e incazzato va alla finestra, la apre. Non capisco, mi trascina per un braccio. “Io ti ammazzo. Ti butto giù!” L’aria fredda mi invade le narici e penso che se mi butta giù, forse, ci resto secca sul colpo senza soffrire, basta cadere di testa. Passa un auto, mi lancia dentro e cado sul divano. Sbatto la testa.
Gira tutto, coltello, cipolla, osso, occhio nero. Sono blu. Mi alza, mi getta sul frigo, la mia pancia sbatte violenta. Ho sentito chiaramente un’esplosione dentro il ventre. Un suono sordo, caldo, sanguinoso, viscerale. Contrazioni. Sto partorendo. Non capisco se fa più male la mandibola rotta o mio figlio morto che esce da me.
Coltello, cipolla, osso, occhio nero, sono blu, morto.

Esagera non può essere.
Si hanno esagerato molto. E’ sempre uno spettacolo.
Però così è troppo. E’ impossibile.
Chiedilo a Nuccia, Marcella, Cettina, Agata, Nadia, Ivana, Grazia, Gina, Lucia, Angela, Teresa, Matilde, Marisa, Liliana. Chiedilo … Chiedilo … Chiedilo a loro se è troppo. Chiedilo.
Non puoi vero?

La carne e il sospiro
Alda Merini
L’ora più solare per me

quella che più mi prende il corpo
quella che più mi prende la mente
quella che più mi perdona
è quando tu mi parli.
Sciarade infinite,
infiniti enigmi,
una così devastante arsura,
un tremito da far paura
che mi abita il cuore.
Rumore di pelle sul pavimento
come se cadessi sfinita:
da me si diparte la vita
e d’un bianchissimo armento io
pastora senza giudizio
di te amor mio mi prendo il vizio.
Vizio che prende un bambino
vizio che prende l’adolescente
quando l’amore è furente
quando l’amore è divino.

Bolero Ravel
    Catherine La R    
       

Io e te
incepriati d’Amore
glicini al vento
accarezziamoci l’anima
a suon di Pan
come le stagioni
tra i venti sulle farfalle
accarezzano le danze sui fiori
la terra gaia dei girasoli
i profumi inebrianti delle lavande
la quieta candida della neve
lo scorrere puro dei fiumi e …
Io e te
aquile libere
voliamoci e sfioriamo le cime
spacchiamo il cielo
con le scie naviganti
del flusso di passione
e come due occhi d’aquilone
tuffiamoci in libero canto
d’infinite parole d’Amore
come l’alba e il tramonto
corteggia e scalda la seta sui corpi …
Ora suoniamo e penetriamoci d’Amore
consumiamo i sospiri su note di violino
sprofondiamo a valle
e amplifichiamo gli echi
tu sei la mia fame
la mia carne
io sono la tua fame
la tua carne
sfamiamoci
divoriamoci
la bramosia eccitata
come amazzoni cascate su un lago di digiuni
in un crescendo violaceo

UOMO O DONNA
Marcella
Che tu sia uomo o donna
Se senti la dignità del tuo essere
Rispetta sempre l’altro
Non consentire ad alcuno di umiliarti.
Le ferite possono toccare il tuo corpo
Non la tua anima
Che tu sia uomo o donna
Se sogni un mondo migliore
Intreccia le tue mani
Con chi ti sta accanto.
Il coraggio può nascere in solitudine
La forza si moltiplica in un gruppo
Che tu sia uomo o donna
Se ti prendi cura dei tuoi figli
Sai che loro sono i testimoni
Dei tuoi valori.
Non un terreno arido ma radici sane
fanno sbocciare fiori di primavera
Che tu sia uomo o donna
Se scopri la bellezza dell’amore
Nutri la gratitudine
la generosità, la comprensione.
La pace, non la guerra
Colma di doni il nostro cuore